Oggigiorno la parola yoga è entrata a far parte del linguaggio comune ed è nota ai più, sebbene in modo alquanto confuso poiché ancora nebuloso ed equivoco è il suo significato. Alcuni ipotizzano una forma di religione, altri una ginnastica dolce, altri ancora un vero e proprio sport. Attorno al pianeta yoga orbitano guru e santoni di ogni genere, esperti di marketing, imprese del fitness e ognuno di essi intraprende la propria guerra per dimostrarne l’autenticità, invalidando così uno dei più importanti assiomi dello yoga che proclama “ahimsa, la non-violenza.
Se pensiamo che già nel 2006 negli Stati Uniti sono stati individuati ben 2315 marchi registrati e 135 brevetti su complementi per la pratica yoga è facile capire lo smarrimento, non solo in chi si approccia a questo mondo per la prima volta ma anche negli stessi insegnanti. Un giro d’affari cospicuo. Sul quotidiano britannico Telegrah veniva riportato, nel 2009:
“a partire dagli anni sessanta, con l’introduzione dello yoga in Gran Bretagna e negli Stati Uniti a opera di George Harrison, si è creato un circuito che a oggi vale 225 milioni di dollari, mentre in oriente le stesse pratiche vengono ancora esercitate come disciplina pubblica che i maestri insegnano nei parchi e in luoghi aperti”.
Nuova Delhi ha lanciato una task force anti-brevetto e ha risposto creando un team formato da diversi autorevoli insegnanti yoga e 200 scienziati per registrare le antiche posture, in sanscrito asana, e fermare i “pirati dei brevetti” che vogliono impossessarsi della “conoscenza tradizionale”.
E’ fondamentale dunque uno studio appropriato che risalga alla fonte primaria, all’attimo prima in cui tale disciplina venisse esportata e spogliata degli abiti tradizionali per essere rivestita con costumi occidentali, più moderni e spesso contorti e piuttosto icastici e coloriti.
La mente è come una scimmia, si recita in Oriente. Salta da un ramo all’altro senza tregua. Questo è il motivo per cui ci stanchiamo velocemente di tutto e abbiamo continuamente bisogno di novità, soprattutto oggi, nell’era della tecnica. Tutto questo a discapito della purezza dell’insegnamento e della natura semplice e profonda che contraddistingue la filosofia delle origini.
Lo Yoga appartiene a uno dei sei sistemi del pensiero indiano chiamati darśana (dalla radice drś, che significa “vedere”) ed assume quindi un significato di “prospettiva”, “visione”, “punto di vista.* *le altre cinque correnti di pensiero sono il nyāya, il vaiśeṣika, il sāṃkhya, la mīmāṃsā e il vedānta. Yoga vuol dire dunque sviluppare una nuova visione della vita attraverso l’attenta osservazione di corpo e mente e porta, se praticato e studiato con impegno e costanza, a una condizione ottimale di presenza vigile e consapevole.
Niente fachirismi ed effetti scenici, dunque, ma nemmeno enfatiche intellettualizzazioni basate su un mero compiacimento narcisistico che vanno solo a nutrire un ego recalcitrante.
Scopo di un insegnante è quello di risalire alle origini di questa antica disciplina e analizzarne le mutazioni dovute al suo veloce espandersi in ogni paese del mondo che ha portato, inevitabilmente, a sommarie e personali interpretazioni dovute al contesto culturale in cui esse si sono sviluppate.
Il bisogno innato dell’uomo di comprendere lo scopo ultimo dell’esistenza ha portato, all’interno del progresso tecnologico, a una corsa folle verso risposte immediate atte a saziare una fame momentanea, alla quale consegue un irrimediabile vuoto che necessita di un’ulteriore “abbuffata” in un circolo vizioso senza fine.