Patanjali ci parla di otto gradini, o passi, per la realizzazione della propria Natura Reale. Il primo passo è Yama, ossia l’insieme delle regole morali etiche e le proibizioni. La prima regola etico-morale da rispettare è:
Ahimsa, che significa Non Violenza. Quando parliamo di non-violenza non ci riferiamo solo alla violenza fisica ma anche ai pensieri, parole e azioni che non devono essere aggressivi né contro il prossimo, né contro se stessi: “Ama il prossimo tuo come te stesso!” diceva Gesù.
Dobbiamo includere noi stessi, in quell’Amore, altrimenti la nostra mente non potrà mai ottenere la Pace.
E’ sottinteso che dobbiamo trattare noi stessi come farebbe un’Amorevole Madre nei confronti di suo figlio. Il pensiero violento (rancore, rabbia, odio, ecc.) arreca dolore, sia che venga indirizzato su oggetti esterni (persone, situazioni, ecc.) sia che venga interiorizzato in modo autodistruttivo (non sono buono a nulla! sono un incapace! sono un fallito! ecc.). Ahimsa, però, non deve essere un atteggiamento esterno fine a se stesso, una finzione ipocrita della nostra subdola tranquillità dettata dalla paura.
Gandhi, grande Maestro della non-violenza, sosteneva che è meglio essere violenti, se la violenza, pur non essendo manifesta, giace nei nostri cuori.
Indossare l’aureola della persona pacifica solo per nascondere una nostra debolezza, la paura di reagire, è controproducente, meglio, In tal caso, una sana reazione coraggiosa. Egli sosteneva anche che la “prova del nove” della non-violenza è che, in un conflitto non-violento, non vi sono strascichi di rancore nei confronti dell’avversario e che i nemici si trasformano in amici. Ogni veleno mentale è violenza. Ogni reazione negativa interiore od esteriore è violenza.
Dovremmo imparare ad abbracciare Ahimsa da tutti i punti di vista, dentro e fuori di noi.
Se di fronte ad un energumeno mi trattengo dal reagire ad una sua offesa, non posso dire di essere stato un non-violento. Ho avuto paura e ho solo represso, giustificatamente, ovvio, la violenza che era in me.
E’ non-violenza reale quella che mi permette di trattenermi da uno scontro pur sapendo che ne uscirei vittorioso. Se il mio avversario è debole e fragile, e sono in grado di perdonarlo, o di andare comunque oltre, posso dire di aver applicato Ahimsa. In caso contrario, con un antagonista temibile e più forte di me, potrei solo dire di avere represso i miei istinti reattivi a causa della paura di uno scontro. La non-violenza, dunque, va coltivata dentro noi , nella nostra mente, affinché le azioni che ne derivano siano spontaneamente pacifiche.
surya